Il vecchio sta osservando un gabbiano che eviscera un granchio. Il crostaceo decapode probabilmente era bello da giovane, ma non lo è più. Vorrebbe poter urlare? O è meglio essere stoici e ... [+]
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EnglishTranslated by Roberta Scarabelli
La driade che vive all'interno della quercia terrorizza da generazioni gli abitanti del condominio. Lancia ghiande, versa linfa, lascia cadere polline sulle loro auto e provoca gravi allergie alle persone. Anche lei viveva in un condominio, all'epoca in cui erano una rarità e la maggior parte delle case in città erano di proprietà privata. I suoi vestiti sono a brandelli, ora, a parte un impermeabile di tela cerata, e le mutande, seriche come la sua pelle. Sono sopravvissute a causa del suo pudore, anche se nessuno la vede mai tranne gli scoiattoli e, solo una volta, un picchio.
Ma oggi esce, per la prima volta dopo tanti anni. Alla fine le sue gambe sono diventate insensibili a furia di stare seduta in un posto stretto, anche se la sua circolazione è così lenta che ci è voluto molto tempo perché ciò avvenisse. È così cauta che esce poco dopo mezzanotte, una sera feriale, quando le persone sono per lo più a casa a dormire. Se qualcuno fosse sveglio, vedrebbe una donna bassa, quasi una bambina, coperta dalla testa ai piedi da un impermeabile antiquato. Sembrerebbe strano perché non piove, ma la città è piena di gente strana.
Cammina guardando le stelle, finché va a sbattere contro un uomo. È molto più alto, ma lei è così forte che lui barcolla all'indietro.
«Scusi», gli dice.
«Chi diavolo sei?» Non sembra felice. «Hai un'aria strana.»
«Mi chiamo Annabel Van Winkle.»
Lui fa un verso di scherno. «Lo sai che stai violando una proprietà privata? È un reato penale.»
L'uomo tiene gli occhi – lo vede bene perché la sua visione notturna è nitida – incollati al suo viso. È come il tocco di un ragno.
«Io abito qui.»
«In quale appartamento?»
Lei indica l'albero.
«Mi stai prendendo in giro? Sono un agente di polizia.»
«No, signore.»
La voce dell'uomo è come il latrato di un cane. «Devi andartene. Subito.»
Nessuno le si rivolge così da molto tempo. È una signora, lei. Ne rimane sconvolta. Barcolla e gli afferra il braccio per non cadere. È l'effetto dell'agitazione.
Lui la respinge. «Mi stai aggredendo. Devo arrestarti.»
«Mi scusi», dice. «Adesso vado.»
«È troppo tardi ormai.»
Lei decide di non discutere. Si volta e si avvia verso l'albero. Si sente investire dal corpo dell'uomo, che la sbatte con la faccia a terra. Le punta un ginocchio sulla schiena. Poi parla con qualcuno che non c'è. Lei sa che si chiama cellulare.
«Mi dispiace di dovermi comportare così con te», dice quando ha finito di parlare con i suoi amici invisibili. «Non sono un razzista. So che tutte le vite contano. Ieri mi sono inginocchiato davanti a una folla di manifestanti. Ho ricevuto una cazziata dai miei amici per questo.»
Lei non sa cosa sia una "cazziata". Non ha voglia di arricchire il suo vocabolario.
«Stai bene?» le chiede. La sua voce è gentile e tenera. «Non voglio che tu ti faccia male.»
La terra è calda e morbida, ma lei è imbarazzata dalla posizione in cui si trova, sdraiata sotto un uomo. Lo spinge via e si avvia verso l'albero.
«Ferma!» grida. «O sparo!»
Lei lancia un'occhiata oltre la spalla. È inginocchiato. Ha in mano qualcosa che assomiglia a una pistola giocattolo. Lei lo ignora. Le pistole giocattolo non possono ferire una driade.
Si liscia i capelli del colore del cielo invernale. «Adesso devo andare, giovanotto. Mi dispiace di averla spinta. Non era mia intenzione.»
Continua a camminare.
«Ferma», grida lui. La sua voce ora è supplichevole. «Fermati.»
Lei continua a camminare.
Il primo proiettile fa volare via delle schegge dalla sua schiena e la linfa comincia a gocciolare.
Lei barcolla, ma continua a camminare.
La linfa scorre più copiosa dopo il secondo proiettile.
Lei continua a camminare. L'albero è a soli tre proiettili di distanza e le ha molta linfa dentro di sé.