Quando si trasferirono, il bosco dietro il condominio era grande e rigoglioso. Lo vedeva dalla finestra della cucina quando lavava i piatti. Tra i rami c'erano spesso uccelli e scoiattoli, e vicino ai margini veniva ogni tanto un gatto randagio a dare la caccia ad animali che non si riuscivano a distinguere dalla finestra. Ma se si guardava bene, attraverso i rami intricati di molti alberi e cespugli, e forse di una specie di vite, si potevano vedere le macchine che passavano sulla strada oltre il bosco. Fu così che lei si accorse che, per quanto sembrasse grande, il bosco era solo una striscia stretta.
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Ti piace stare lì? le chiese la madre.
Oh sì, rispose lei. Ed era vero. E il bosco cresceva.
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Più avanti, imboccarono un sentiero nel bosco per raggiungere la strada e il marciapiede lastricato. Suo figlio commentava spesso che si trattava di un portale, al cui interno regnava la notte: ecco quanto era buio il bosco, quanto folta la volta che lo copriva. Il sentiero si divideva in sentierini sterrati meno battuti, dove una volta videro un uomo fermarsi per pisciare.
Alla fine di uno di quelli sembrava esserci una radura. Lei s'immaginava sempre che prima o poi si sarebbe imbattuta in adolescenti che bevevano o scopavano, ma la radura era troppo esposta da quel punto di vista, il suo, e quindi come mai resisteva? Come mai il terreno appariva così calpestato? Immaginò un orso mitico che si materializzava per dormirci a notte fonda.
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Cercava di parlare dentro di sé all'orso mitico, ma ogni volta che lui apriva la bocca uscivano i suoni del documentario che sua madre l'aveva avvertita di non guardare, i suoni dell'orso che mangiava le persone che lo avevano studiato, suoni terribili.
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Un giorno, mentre rigovernava i piatti al lavello, vide un gruppo di volpi, solo per un secondo, una coda dietro l'altra, che attraversarono la visuale. Adesso nel bosco poteva starci un'intera tana di volpi senza che si vedesse. Cos'altro? si chiese. Cos'altro potrebbe nascondere?
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E l'appartamento? chiese sua madre.
Bello.
Tuo padre vuole delle foto della vista dalle finestre.
Dalla mia finestra? chiese lei. Sono solo boschi.
Sì... quelli.
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Fece una foto del bosco.
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Passò di nuovo dalla radura durante la sua passeggiata in città. Ci ripassò mentre tornava. Questa volta non vide un orso ma un gruppo di giovani donne, nude, magre, sorprendentemente simili, come se fossero tutte sorelle, come se fossero tutte streghe, che danzavano in cerchio, ululando nella notte. Al centro apparve un fuoco. Voleva spegnerlo con i piedi. La sua prima preoccupazione era il bosco.
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Ti stai facendo degli amici? chiese sua madre.
Ci sto provando. C'è un'altra mamma che è simpatica.
Bene.
Ma suo figlio è antipatico.
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Guardò la foto che aveva mandato al padre. Riconobbe la cornice della finestra ma non la vista, gli alberi, le forme delle foglie. Sapeva così poco del suo bosco? Sollevò il cellulare davanti alla finestra della cucina. Il bosco era esattamente com'era. Solo che era diventato più folto. Cercò di ricordare come appariva, di disegnarlo nella sua mente, ogni albero nella sua posizione. Guardava la foto quando era in bagno, quando camminava per le corsie del supermercato.
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Che aspetto avrà il bosco in inverno? pensò. Non sapeva quali alberi sarebbero rimasti verdi e quali spogli fino alla corteccia. Pensò di cercare i nomi degli alberi e le loro caratteristiche, di stilare un elenco, ma non lo fece. Pensò di fare una ricerca per capire a quali temperature gli alberi perdono le foglie. Oppure la causa era il moto terrestre, il concetto delle stagioni, e non necessariamente gli estremi della loro natura performativa? Ci stava pensando troppo.
Il sottobosco resterà, pensò.
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Cos'hai fatto oggi? le chiese sua madre.
Sono andata a fare una passeggiata. Stanno sbocciando molti fiori.
Che fortuna.
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A volte si rendeva conto che il vento sul suo viso avrebbe cambiato il volto del bosco, allora alzava lo sguardo per osservarlo, alla ricerca di una rivelazione. Ma vedeva solo le foglie capovolte, le loro tonalità più chiare di verde.
Spesso imparava che aspetto aveva il bosco sotto la pioggia. Che odore.
Ma soprattutto vedeva il bosco perfettamente a suo agio nell'ambiente circostante. Poi si correggeva: era esso stesso l'ambiente circostante, il suo ambiente. Si perdeva di nuovo nei suoi pensieri. Lei era l'ambiente di qualcosa? Di suo figlio? Lui era l'ambiente di qualcosa? Era bloccata in un loop mentre rifletteva sulle cose fino a un livello microscopico. I batteri nel suo intestino. Organismi ancora più piccoli. Fino ai quark. Quanto tempo aveva passato lì seduta a pensare? Non lo sapeva.
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Oggi non stavo bene, disse alla madre.
Cosa ti sentivi?
Mal di gola.
Forse le allergie.
Annuì al telefono, cosa che sua madre non poteva vedere. Guardando gli alberi si chiese, Per cosa? Per cosa?
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Il bosco diventò sempre più grande sotto i suoi occhi, ma non si avvicinò mai al suo appartamento. Lei non sarebbe mai stata in grado di allungare la mano fuori dalla finestra della sua cucina e toccarlo. Doveva andarci, se lo voleva. L'idea non le piaceva. Se pensava di camminare nel bosco, immaginava di sentire tirare l'orlo dei pantaloni, le zecche che le saltavano addosso e strisciavano nelle parti più calde e scure del suo corpo, nell'ascella, sotto un seno, dentro le sue piccole labbra. Solo il pensiero le faceva venire voglia di controllare. Doveva farlo.
Lì dov'era, in cucina, sollevò un seno e ci passò le dita sotto. Niente zecche. Poi controllò sotto l'altro seno. Controllò le ascelle. La vulva. Poi si lavò le mani. E quando alzò lo sguardo, vedendo di nuovo il bosco, fu sicura che la stava guardando e che desiderava ardentemente toccarla, come si era toccata lei.