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EnglishTranslated by Roberta Scarabelli
Quando non ci sarà più acqua, ce ne andremo. Fino a quel momento, razioneremo quella che attingiamo dal pozzo. Tre quarti di secchio per bere (uno pieno quando si superano i trenta gradi, cosa che succede sempre più spesso ormai), mezzo secchio per le pulizie (la casa, i piatti, il nostro corpo) ogni tre giorni, un quarto di secchio per cucinare. Misuriamo le nostre giornate a secchi.
Adaline è la responsabile del secchio. A volte questo me la fa odiare. Ma la mamma ha detto che Adaline è la più precisa, la meno incline a sognare a occhi aperti. È stata Adaline, dopotutto, a segnare di blu gli incrementi.
Abbiamo dovuto dire addio agli animali. La mamma e Adaline hanno passato giornate intere con il bestiame, a macellare, pulire e conservare. La mamma ha detto che si sono sacrificati in modo che noi potessimo nutrirci nella siccità.
La cosa che mi manca di più è la mia gatta, Elva. È rimasta in giro per un po', miagolando fuori dalla finestra della mia camera, ma non mi era permesso darle cibo né acqua. Ho provato a tenerne un po' da parte dal mio bagno settimanale, ma Adaline mi ha beccato. E naturalmente lo ha detto alla mamma.
La mamma ama la mia natura generosa. Ma non è più il caso, dice. Abbiamo solo noi stesse. Non c'è posto per nessuno o nient'altro.
Non vediamo più gente. L'ultima persona è stata qualche settimana fa, e prima erano passati molti mesi. L'uomo era solo, e così magro e debole che la mamma ha detto che non avevamo nulla da temere. Eppure, ha detto lo stesso di no. Allora lui ha pianto e io volevo dirgli che era uno spreco. Più tardi Adaline mi ha sussurrato di aver visto il suo corpo lungo la strada due giorni dopo, ma non sempre Adaline è affidabile. A volte penso che voglia spaventarmi.
Non piove più. Se avessimo saputo che era l'ultima volta, forse saremmo rimaste fuori, solo per sentire l'acqua sui nostri volti.
La mamma cambia di nuovo le razioni. Non puliamo più la casa, né il nostro corpo, con regolarità. È strano vivere in questa casa adesso. La mamma era così orgogliosa di spazzare e pulire i pavimenti fino a farli risplendere. Adesso trascorre intere giornate da sola nella sua stanza. Adaline dice che sta elaborando un piano.
Un giorno, mentre Adaline è fuori, apro la porta della camera della mamma. È sdraiata sul letto e fissa il soffitto. Gira la testa verso di me e capisco che ha pianto. Dà un colpetto sul posto accanto a sé e io salgo sul letto e le appoggio la testa sul petto.
«Dovremo andarcene presto», dice. Rimango immobile. «Non so dove. E se non ci fosse più nessuno?» Mi chiedo se stia pensando a quell'uomo, come me. O forse le sue preoccupazioni sono più focalizzate. Una donna, due ragazze, niente acqua.
Comincia a immagazzinare l'acqua in bottiglie che non ci è permesso toccare. Non è sorpresa quando il secchio graffia la pietra, ma Adaline ha una crisi di nervi. Non riesce a respirare e non ci prova neanche, finché la mamma le preme i palmi sulle spalle, ordinandole di calmarsi. Non ho mai visto Adaline in questo stato. È questo che mi spaventa più di ogni altra cosa.
Quella notte mi intrufolo a letto con Adaline. Non mi respinge come fa di solito. «La mamma ha un piano», le dico, accarezzandole i capelli. Adaline non reagisce. «Lei sa cosa fare», sussurro.
Adaline volta lentamente la faccia verso di me ed è come se non fosse nemmeno sveglia. «No che non lo sa», dice, poi si gira di nuovo verso il muro.
Adaline si rifiuta di mangiare la carne essiccata che abbiamo preparato e la mamma spreca acqua preziosa per convincerla a mandare giù un po' di brodo. Non si alza più dal letto e quindi tocca a me attingere l'acqua dal pozzo. Appena mezzo secchio al giorno. È un lavoro che desideravo fare da tanto tempo, solo che ora, alla fine, è impossibile. Riempire il secchio, vedere gli occhi della mamma con quello che porto dentro. Ora capisco la sua reazione quando si è presentato quell'uomo distrutto. Non ce n'è abbastanza.
Questa situazione dura alcuni giorni, finché non c'è più niente da attingere dal pozzo. Mettiamo nelle borse le bottiglie d'acqua, il cibo, alcuni vestiti e la mamma dice che partiremo la mattina dopo, sul presto.
«Dove andremo?» chiedo.
«A ovest», risponde lei, impegnata a chiudere bene la sua borsa. «E non farmi altre domande.»
Quella notte tengo stretta Adaline mentre batte i denti, anche se non fa per niente freddo.
«Tu non hai visto quell'uomo alla fine», sussurra. «Sarà così anche per noi.» No, no, le assicuro. «È un modo orribile di andare. Spero di essere la prima. Non posso sopportare di stare a guardare.»
Al mattino, allungo la mano verso Adaline e lei non c'è. Non è neanche da basso né da nessun'altra parte in casa. Io e la mamma la cerchiamo tutto il giorno nei dintorni, ma è semplicemente sparita. Non ha nemmeno preso una bottiglia d'acqua.
Forse è andata alla ricerca di acqua, o di persone, così non dobbiamo farlo noi. Potrebbe tornare da un momento all'altro, ci diciamo. Dopo quello che è successo, non possiamo più andarcene.
Riduciamo ancora una volta le nostre razioni e aspettiamo. A volte, quando la mamma si assopisce, traccio con il dito le righe blu del secchio. Sono così precise.
Non lo dico ad alta voce: ma penso alla mia gatta Elva. Che ha capito quando era ora di andare nel bosco e di starsene da sola. Che non è più tornata.
Le bottiglie si svuotano, anche se beviamo sempre meno. Non si pulisce. Non si lava. Non si parla. Dormiamo quasi tutto il giorno e vegliamo di notte. In attesa di Adaline. Di chiunque.