Francis Valencia Ortiz

Martin Hill Ortiz, originario di Santa Fe, nel New Mexico, è professore di farmacologia presso la Ponce Health Sciences University di Portorico, dove vive con la moglie e il figlio. “Francis Valencia Ortiz” è ispirato alla vita del nonno di Martin e alla sua lotta contro i salici.

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Translated by Roberta Scarabelli

Per tutta la vita, Frank aveva combattuto contro i salici. Spuntavano dentro e intorno al torrente, ostruivano i fossati di irrigazione e soffocavano il flusso dell’acqua.

La sua terra, una stretta pianura tra ripide pareti di montagne, riceveva poche ore di luce solare diretta, e le colture già indebolite non potevano sopportare lo shock della sete: aveva bisogno di mantenerle ben irrigate.

Così Frank bruciava i salici, li irrorava di veleni o fissava una catena attorno alle loro basi usando il suo furgone Power Wagon per estirparli alle radici.

Ricrescevano sempre.

Frank chiamava la sua fattoria “Rancho Pancho”: un ranch, anche se aveva un solo maiale – sufficiente per mangiare gli avanzi – e un solo toro, sufficiente per prendere le mosche. I suoi vicini a valle lo accusavano di non essere mai stato un vero agricoltore, dicendo che il ruscello non bastava per tutti e che i suoi miseri raccolti rubavano l’acqua che avrebbero potuto usare loro.

Li ignorava: la sua terra aveva sete.

I giorni passavano mentre ogni mattina la cresta orientale ritraeva la sua ombra e ogni sera la cresta occidentale gettava la sua coltre notturna. I mesi passavano mentre le ombre delle montagne si inclinavano, una meridiana delle stagioni. In estate, gli amenti dei salici fiorivano con semi piumati. In inverno, le loro canne secche si ergevano come una falange armata di lance.

Ogni decennio l’anno si azzerava. Eppure lui continuava a combattere i salici con le fiamme, o con il veleno, o strappandoli dalla terra.

Le sue vene diventarono varicose come il ruscello.

Il suo trattore, Gravel Gertie, non invecchiava mai perché era sempre stato vecchio. Il fumaiolo tossiva di continuo, il motore tremava di continuo.

Una giornata nuvolosa, in cui il sole non riusciva a spuntare e tutte le ombre si dissolvevano insieme, i fossati si prosciugarono. Frank si diresse verso la punta settentrionale della sua terra, nel punto in cui entrava il fiume, un luogo roccioso con pochi appigli per la vita vegetale. Eppure chissà come i salici erano cresciuti anche lì. Alti e folti, formavano una barriera, i loro tronchi scoraggianti come le sbarre di una prigione.

Guardando tra le canne, vide un vecchio disteso a terra, accasciato come se fosse caduto.

«Señor? Señor? Sta bene?»

L’uomo non si mosse. Frank guardò dove aveva parcheggiato il suo Power Wagon, ma non c’era più.

In lontananza vide sua figlia che camminava verso di lui. La sua unica figlia, che aveva sempre chiamato “Sorella”, il nome che usavano i suoi fratelli.

«Sorella!» la chiamò. La figlia non rispose.

Mentre lei si avvicinava, Frank vide che sua figlia era più vecchia di lui.

La sua mente vacillò. Era così stanco che non sentiva più niente, nemmeno la stanchezza. Sapendo che doveva aiutare l’uomo caduto, Frank si spinse nel boschetto di salici. I fusti si aprivano per poi richiudersi dietro di lui. Non gli avrebbero permesso di andare avanti né indietro.

Afferrò una canna come per strangolarla. Gli sbocciò attraverso la mano. Crebbero delle spighe e gli trapassarono i piedi.

«Sorella!» gridò quando lei arrivò. Il corpo della figlia attraversò i tronchi dei salici e le loro lance separarono il suo fumo.

La linfa gli si addensò nelle vene. Chiuse gli occhi.

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